PELLEGRINAGGI DI CARITÀ
Dal 1991 ad oggi al termine di ogni pellegrinaggio di carità viene scritta mensilmente una relazione che ne sintetizza lo svolgimento. Si tratta di una documentazione che crediamo significativa. Non solo per i tantissimi amici che nel corso degli anni hanno preso parte ai nostri viaggi e che potranno qui ritrovare, anche a distanza di decenni, la breve cronaca dell’esperienza da loro vissuta. Riteniamo che in tanti possano trovare all’interno di queste narrazioni elementi di interesse; non solo di carattere storico (si pensi ad esempio al racconto a tratti ancora “bruciante” delle missioni umanitarie in tempo di guerra) ma anche e soprattutto per l’aspetto umano e spirituale che incontri e situazioni specifiche hanno alimentato rendendo ogni viaggio esperienza unica. Tra le centinaia di relazioni contenute in questa sezione del sito, qui sotto ne vengono evidenziate due tra le più significative. L’anno è il 1994, nel pieno della guerra in Bosnia. I luoghi sono città come Vareš e Zenica, pesanti scenari di odio etnico o come Sarajevo raggiunta sotto assedio, col passaggio nell’ormai tragicamente famoso tunnel.

Nell’Archivio Storico, all’interno di ogni cartella e sottocartella, è possibile  trovare, oltre ai resoconti di tutti i convogli umanitari effettuati in oltre 30 anni, anche contributi aggiuntivi (quali articoli di stampa locale e nazionale, scritti ed attestazioni di stima) che, con  affetto e gratitudine, accogliamo nel racconto della nostra Associazione.

Lasciamo al lettore entrare, senz’altro, nel racconto di quei fatti, certi che saprà aprirsi allo spirito che mosse in quegli anni gente che viveva in mezzo a noi ad esporre, consapevolmente, sé stessa, la propria vita ed in ciò trovando il valore autentico da attribuirle.
VAREŠ 1994 A MEDJUGORJE CON PELLEGRINAGGI DI AIUTI PER LA BOSNIA-ERZEGOVINA
relazione di Alberto Bonifacio 51° VIAGGIO: 27/09 - 2/10 1994...
fino a VAREŠ e ZENICA. Incontro con l'Arcivescovo di Sarajevo.
VAREŠ 1994 A MEDJUGORJE CON PELLEGRINAGGI DI AIUTI PER LA BOSNIA-ERZEGOVINA relazione di Alberto Bonifacio 51° VIAGGIO: 27/09 - 2/10 1994... fino a VAREŠ e ZENICA. Incontro con l'Arcivescovo di Sarajevo. Partenza non programmata quella del 27 settembre. La proposta di Padre Leonard Oreč pochi giorni prima: andiamo a Vares, a nord di Sarajevo, per la festa di San Michele e potremo anche incontrare l'Arcivescovo Vinko Puljić. Pochi pertanto i partecipanti, solo quattro furgoni, due dei quali da Finale Emilia con lo stesso Arciprete Don Ettore Rovatti, con Mirella, suo marito Antonio e Franco. Sugli altri due furgoni: Augusto e Andreina, e con me c'è Attilio. A questi si aggiungerà poi il giovane Fabio della Caritas ambrosiana, volontario presso la Caritas di Citluk. Vicino a Spalato il furgone di Augusto non va più e dobbiamo trainarlo fino alla concattedrale di S. Pietro, dall'Arcivescovo Franić, alla cui Caritas lasciamo il carico. Proseguiamo stringendoci sui tre furgoni rimasti. Altro problema all'ultima dogana, a 28 km da Medjugorje, perché manca un furgone. Arrivano ad accusarci che possiamo aver venduto il carico di quel furgone a mercato nero! Nonostante l'ora tarda chiamo Mons. Franić e lo faccio parlare con loro: niente! Viene P. Ivan Landeka, parroco di Medjugorje, a prenderci con due auto e permetterci di riposare qualche ora dopo 24 ore di viaggio "no stop". Mercoledì 28 settembre - C'è voluta la pazienza di P. Leonard e ore di trattative, fax e telefonate per sbloccare la situazione in dogana ed entrare in Bosnia-Erzegovina con i furgoni. Solo verso le 11 possiamo partire per Vares. Con P. Leonard è venuto da Spalato anche un giornalista di Slobodna Dalmacija, un quotidiano assai diffuso in gran parte della Croazia e della Bosnia-Erzegovina. Breve sosta a Konjic dove ci accoglie il sinistro urlo della sirena per un allarme; 16 km di strada sterrata tra Tarčin e Kreševo sulla montagna, tra un polverone denso come la peggiore nebbia; innumerevoli posti di blocco musulmani per impedire il rientro a Vareš dei croati che vi erano scappati. Con noi sono molto corretti, anzi direi cordiali. In uno di questi posti di blocco, poco prima di Visoko, vediamo ferma una lunga colonna di mezzi. I soldati ci spiegano che poco più avanti la strada è attualmente sotto il tiro dei serbi e un camionista ci fa vedere un proiettile che ha da poco colpito il suo camion. Breve consulto tra di noi: si riprende. I soldati ci raccomandano di viaggiare distanziati e a velocità sostenuta. Ci accodiamo a due camioncini dell'ONU. Va tutto bene, anche se sentiamo il secco crepitio di qualche sparo. Arriviamo a Vareš verso le 18,30 ed è già buio. All'ultimo posto di blocco (il 17° secondo la conta del giornalista), un soldato ci dice che l'Arcivescovo Puljić già arrivato da oltre un'ora e ci dà l'arrivederci a domani per la festa. Scarichiamo due furgoni nel magazzino della Caritas parrocchiale, celebriamo la S. Messa nella bella chiesa di S. Michele già addobbata a festa e ceniamo. L'Arcivescovo è invece impegnato in lunghe riunioni con autorità locali e della Presidenza di Bosnia-Erzegovina. I problemi di questa città sono grossi. L'anno scorso, durante la guerra tra musulmani e croati, alcuni croati erano stati barbaramente uccisi nelle loro case. Per questo motivo e anche per non essere intruppati nell'armata bosniaca e costretti a sparare contro i propri fratelli di religione, molti croati erano scappati. Per contro arrivavano dalle città occupate dai serbi tanti profughi musulmani che si insediavano nelle abitazioni lasciate libere dai croati. Pertanto Vareš è diventata una città a grande maggioranza musulmana e gli abitanti di un tempo, che ora vorrebbero ritornare, ne sono impediti. Il nuovo sindaco, una signora musulmana, ripete che cittadini di Vareš sono coloro che vi abitano e chi se ne è andato... peggio per lui. In questo contesto si può ben capire che tensioni, attentati, vandalismi, ingiustizie di ogni genere sono purtroppo pane quotidiano. Parliamo anche di questo con le buone persone che ci ospitano nelle loro case per la notte. Dove dormo io con Attilio e Franco è solo lui, il signor Josip, un ingegnere che lavorava presso una delle grosse industrie meccaniche, un tempo vanto di questa città, ora tutte chiuse. Josip è in pensione, ma come tutti gli altri non prende nessuna pensione e vive di aiuti umanitari... quando arrivano. Sua moglie è morta quaranta giorni fa, improvvisamente, schiantata da un infarto. Ha un figlio a Sarajevo e un altro in Svezia. Giovedì 29 settembre - Festa di San Michele - La pioggia iniziata ieri sera è cessata, ma la giornata è ancora grigia. Josip si è alzato presto e ci ha preparato il caffè. Visitiamo meglio la bella chiesa che quest'anno festeggia i 140 anni di fondazione e poco sotto anche la vecchia chiesa del 1600, una rarità perché costruita in piena dominazione turca, quando ogni segno cristiano veniva distrutto. E' l'unica chiesa antica rimasta in Bosnia perché le altre due esistenti sono state recentemente distrutte. Mentre siamo nel refettorio per la colazione, viene a trovarci l’Arcivescovo Vinko Puljić. Dopo una mia relazione su quanto stiamo facendo grazie all'esperienza di fede fatta a Medjugorje, Mons. Puljić ci ringrazia per l'aiuto che diamo a questa gente sofferente. Riprendo un po' le sue parole: "Sono diventato Arcivescovo all'inizio della guerra. Ringrazio Dio che sono ancora normale nonostante abbia sperimentato nella città di Sarajevo alcuni milioni di granate e abbia visto tanti morti e tanta gente afflitta e umiliata. Dove arrivo, è mio dovere portare la speranza: Dio è la fonte della speranza; tutto il resto è un disastro. I morti sono almeno 200.000. Mezzo milione di persone hanno sperimentato i campi di concentramento e 30.000 donne hanno subito violenza. Pulizia etnica e genocidio vengono utilizzati sistematicamente come strategia bellica. Prima della guerra questa Arcidiocesi aveva 520.000 cattolici con 144 parrocchie. Era una diocesi grande e piena di vita, con molte vocazioni e famiglie buone, con tanti bambini. Ora quasi 300.000 cattolici sono stati cacciati e sono profughi, lontani, dispersi... la diocesi è ridotta a un terzo. Tante chiese sono distrutte o danneggiate ..." Poi la sua voce si fa più grave, lo sguardo fisso a terra, il suo abituale sorriso si spegne. "La vita è molto difficile!" E conclude: "Il mio grazie non è una parola convenzionale, ma un profondo riconoscimento della vostra azione. Facciamoci coraggio! Per riconoscenza e ricordo vi lascio una medaglia che il Santo Padre voleva donare a Sarajevo ..." Chiedo all'Arcivescovo notizie sul poliambulatorio che la Caritas di Sarajevo vorrebbe allestire e sulla migliore destinazione di una nuova ambulanza che una generosa signora vuole donare. Per l'ambulanza dice che sarebbe proprio necessaria a Sarajevo. Solenne e con grande partecipazione di sacerdoti e di popolo la concelebrazione delle 10,30. All'omelia Mons. Vinko Puljić ha parlato del male che ha avvelenato i rapporti tra le persone, tra le nazioni e tra le varie fedi invitando a supplicare l'Arcangelo Michele affinché allontani il male dai cuori umani. Dio invita tutti gli uomini a costruire ponti d'amore. Dio alla fine vincerà anche se in questa guerra per ora regnano odio e menzogna; ha raccomandato perciò ai fedeli di estirpare l'odio e la vendetta dai loro cuori e di tornare nello spirito di buon vicinato come prima, nella patria comune: la Bosnia-Erzegovina. Erano presenti molte autorità, tra cui l'imam musulmano di Vareš, due membri della presidenza di Bosnia-Erzegovina di Sarajevo, tra cui il dr. Ivo Komšić, cattolico e professore di scienze politiche; deputati, autorità militari e i comandanti del battaglione pachistano dell'UNPROFOR. Dopo la S. Messa, davanti alla chiesa è iniziata la festa popolare con i suoni striduli e frenetici della ridda bosniaca ballata a cerchi. Molte persone con antichi e curiosi costumi. Nel pomeriggio due furgoni con Mirella e Don Ettore tornano a Medjugorje, mentre il mio furgone, ancora carico, comincia un giro nel centro della Bosnia con Padre Leonard e Fabio. Non esistendo collegamenti telefonici con queste regioni, P. Leonard ha così modo di incontrare diversi confratelli rimasti piuttosto isolati e sentire i loro problemi. Andiamo innanzitutto a Visoko presso quello che era il grande seminario francescano, colpito da qualche granata. Qui di cattolici ne sono rimasti pochissimi. Molto pochi anche gli ortodossi, i quali, rimasti senza chiesa e senza pope (scappato subito con la famiglia), vengono a pregare nella chiesa francescana. Verso sera arriviamo nel comune di Kakanj, a Kraljeva Sutieska, dove i francescani avevano il noviziato, una bella chiesa e un grande convento. E' una località storica perché vi sorgeva il castello degli ultimi re di Bosnia: Stjepan Tomas (1444-1461) la cui moglie Katarina è considerata santa (in chiesa c'è anche una sua grande statua bianca) e il cui figlio Tomašević fu l'ultimo re. Nel convento vivono 8 frati e 4 suore. Prima avevano 12000 cattolici da seguire pastoralmente; ora ne sono rimasti 1800. Anche qui, piuttosto che essere costretti a combattere contro i fratelli croati, sono scappati. Vivono qui più di 5000 musulmani. Ci fermiamo per la notte e facciamo cena a lume di candela: la corrente arriva a singhiozzo. Venerdì 30 settembre - Dopo la messa conventuale delle 7, partiamo per Zenica, dove cerchiamo la parrocchia francescana di S. Elia. Parliamo col parroco fra Stipan Radić. Zenica dovrebbe avere 143.000 abitanti, ma i musulmani dicono che solo loro sono 200.000, forse con i profughi affluiti dalle zone occupate dai serbi. Vi sono 5 parrocchie cattoliche con 15.000 fedeli; prima ve ne erano circa 16.000 in più. I serbi sono circa 5000; ne sono fuggiti 22.000. Questa francescana è la parrocchia più grossa e coordina la Caritas di tutta la città. La Caritas è molto ben organizzata. Ha anche una farmacia aperta a tutti, con farmacisti anche musulmani e serbi. Hanno le schede di tutte le famiglie povere e ogni giorno avvisano 50 famiglie, che arrivano col biglietto numerato per ritirare cibo e indumenti. Ora ricevono però molto meno aiuti perchè l'UNHCR non riconosce più le Caritas, ma solo il potere civile. Ricevono dalla Caritas di Germania. Ci parla dei rapporti difficili con i musulmani da quando si è insediata in un villaggio ex croato in periferia una brigata di Mujaidin; anche alcune organizzazioni umanitarie di paesi arabi oltranzisti fanno propaganda di fondamentalismo islamico. Nelle scuole non si rispettano più le minoranze per cui i cattolici tentano di organizzare delle scuole nelle parrocchie come si faceva sotto il comunismo. In qualche ufficio se non si dà il saluto musulmano, ti dicono di tornare un'altra volta. La persecuzione etnica è sotterranea, ma perfida ed efficace, specie contro gli intellettuali. Tanti dei 1000 prigionieri croati sono stati trattati molto male e alcuni non hanno resistito e sono morti. Buoni invece i rapporti con i soldati turchi dell'UNPROFOR, che sono imparziali e spesso difendono i croati. Chiede un computer per la Caritas, il loro si è rotto. Scarichiamo il mio furgone e cominciamo il ritorno passando da Busovača, Brestovsko (Monastero di clausura delle Clarisse), Kiseljak (parrocchia e suore, dove conosco Suor Samuela Bešker, sorella di Suor Marija: anche lei sta andando all'Ospedale di Sarajevo, era in Zaire), Kreševo (grande convento francescano; visita al museo). Quando ci fermiamo a Mostar Est per lasciare qualche aiuto ad alcune famiglie è già buio e appena scesi dal furgone qualcuno dall'oscurità ci prende a sassate. Momenti di tensione e poi finalmente a Medjugorje. Sabato 1 ottobre - Lo dedichiamo a qualche visita e soprattutto alla preghiera: ne sento un gran bisogno dopo quelle intense giornate in Bosnia centrale. Domani torniamo a casa.
SARAJEVO 1994 A MEDJUGORJE CON PELLEGRINAGGI DI AIUTI PER LA BOSNIA-ERZEGOVINA
relazione di Alberto Bonifacio 55° VIAGGIO: 7 -13/12 1994
Festa dell'Immacolata -Dentro a SARAJEVO ... l'inferno.
SARAJEVO 1994 A MEDJUGORJE CON PELLEGRINAGGI DI AIUTI PER LA BOSNIA-ERZEGOVINA
Relazione di Alberto Bonifacio 55° VIAGGIO: 7 -13/12 1994
Festa dell'Immacolata -Dentro a SARAJEVO ...l'inferno.
Un pellegrinaggio di solidarietà un po' particolare, sia perché l'Immacolata è per me un anniversario e per la 15° volta mi accingo a vivere questa festa a Medjugorje, sia perché la méta è per me nuova e straordinaria: Sarajevo.

Mercoledì 7 dicembre
- Dodici i furgoni alle 7 del mattino quando usciamo dall'Italia sopra Trieste. Quattro vengono con Mirella di Finale Emilia (MO) e tre con Armando della Banca Popolare di Bergamo; più altri amici di Milano, Crema, Padova e ancora Bergamo. Poco dopo le 22 arriviamo a Medjugorje senza problemi. Dovevamo portare anche l'ambulanza nuova offerta da una generosa persona di Modena e promessa all'Arcivescovo di Sarajevo. L'ha ritirata l'amico Dall'Ara di Cervia e ieri mattina è sbarcato a Spalato. Ma a Spalato è arrivato anche l'Arcivescovo Puljić che l'altra settimana andò a Roma in aereo per ritirare la berretta cardinalizia; ora però l'aeroporto di Sarajevo è chiuso e sta cercando un mezzo per tornare a casa. Padre Leonard Oreč, che da Spalato coordina gli aiuti, gli ha offerto l'ambulanza e il Cardinale ha accettato. Così ieri Dall'Ara ha guidato l'ambulanza fino a Medjugorje con il Card. Vinko Puljić accanto e poi questi ha proseguito per Sarajevo col suo segretario Don Ivo Tomaševic.

Giovedì 8 dicembre
- Festa dell'Immacolata - Mattinata dedicata alla preghiera e all'incontro con la veggente Vicka. Nel pomeriggio scarichiamo alcuni furgoni nel magazzino di "Médiatrice" (volontari francesi) a Mostar Est. Torniamo in tempo per la Messa e l'Adorazione in una chiesa strapiena di fedeli. La sera aspettiamo l'arrivo di Giovanna con tre furgoni. Tarda. Siamo preoccupati. Solo all'una di notte arrivano Giovanna e Rosario. Giambattista ha avuto un colpo di sonno sull'autostrada vicino a Palmanova e ha disfatto il furgone! Grazie a Dio poche le conseguenze per gli autisti. Tuttavia Massimo è stato trattenuto all'Ospedale di Palmanova per accertamenti.

Venerdì 9 dicembre
- Al mattino un bell'incontro di preghiera e di catechesi da P. Jozo Zovko a Široki Brijeg e poi da li direttamente a Mostar Est, dietro la stazione, per distribuire i nostri viveri a 95 famiglie assieme ai giovani di "Médiatrice". Bene! E' bello questo contatto diretto con le persone! Siamo già in chiesa a Medjugorje per il momento dell'apparizione (ore 17,40) e la S. Messa internazionale delle 18. Accordi con P. Leonard e Giancarlo Rovati per la partenza di domani per Sarajevo. Prima delle 21 con Mirella sono alla Croce blu, dove la Madonna ha dato appuntamento a Ivan e al suo gruppo. Siamo in moltissimi, appostati tra le pietre e i rovi, a partecipare ai canti e al rosario. Poi un lungo silenzio e la preghiera con la Mamma celeste. Quindi Ivan racconta e Suor Emmanuel traduce in diverse lingue: "La Madonna è venuta gioiosa e ci ha salutato dicendo: "Sia lodato Gesù Cristo, cari figli miei". Poi ha pregato su tutti noi, ci ha benedetti ed ha ascoltato Ivan che Le ha raccomandato tutti noi, le nostre intenzioni e specialmente i malati. La Madonna ha quindi dato questo messaggio. "Cari figli, vi invito in questi giorni ad intensificare la preghiera come preparazione al giorno della gioia che viene (cioè Natale). Rinnovate specialmente la preghiera in famiglia. Pregate, pregate, cari figli!" Con Lei abbiamo pregato Padre nostro e Gloria. Poi Lei, continuando a pregare è andata via lasciando il segno di una croce luminosa e ha detto: "Andate in pace, cari figli miei".

Sabato 10 dicembre
- Dopo la S. Messa delle 7,30, con Mirella e altri andiamo a Mostar Ovest e Est per visite e pacchi da portare: ai bambini abbandonati nell'Ospedale nuovo, agli anziani Popovac, a Sànela nella cui casa oggi si festeggia Edin, che compie un anno, nato dopo la morte in guerra del giovanissimo papà, fratello della mamma di Sànela. Poco dopo le 13 partiamo per Sarajevo. Siamo in 16 persone con 5 furgoni e un'auto. Tre furgoni nostri dell'A.R.PA. (Associazione Regina della Pace) e due del Gruppo 29 maggio '93 – Caritas Ghedi (Bosnia) di Giancarlo Rovati. Sull'auto di Giancarlo c'è P. Leonard Oreč, coordinatore degli aiuti, P. Ivan Landeka, parroco di Medjugorje e Don Giuseppe, un sacerdote bresciano. Sui furgoni: Orsola, Angelo e suo fratello, più due signore native di Sarajevo che collaborano col gruppo di Ghedi. Con me c'è Valerio, ottimo infermiere in pensione, Mirella di Finale Emilia con Federico e Ovidio e nel furgone cremasco c'è Nando con l'amico Ambrogio, che registra tutto in videocassette. Transitiamo tra le macerie di Mostar sotto una pioggia battente. Poi Konjic e su, su a Tarčin fino a Pazarić, dove la statale è sbarrata. Oltre ci sono i serbi. Soste e controlli al posto di blocco. Sono quasi le 17 ed è buio pesto. Si prende a destra verso Lokve e si sale sul monte Igman, 32 km di strada sterrata discreta, con fango. Quando sbuchiamo sul versante della montagna che guarda verso Sarajevo, dobbiamo spegnere i fari: davanti a noi, al di là della piccola vallata, ci sono i serbi che sparano su tutto ciò che vedono. Ci diranno poi che su questo tratto ogni giorno ci scappa almeno un morto... senza contare i feriti. Mancano circa 5 km per arrivare a Hrasnica, l'ultimo centro controllato dai bosniaci prima di Sarajevo. Scendiamo a passo d'uomo. I bei boschi di abeti spesso ci nascondono. Intravvediamo nell'oscurità varie carcasse di camion e auto; incrociamo qualche camion che sale e anche un gruppo di persone, forse uscite da un pullman bloccato o in avaria. Dietro di me Nando e Ambrogio sentono fischiare una bomba che scoppia vicino. Ci avvisano spaventati col C.B. Finalmente arriviamo a Hrasnica e parcheggiamo i furgoni in posizione un po' protetta dalle bombe che qui cadono spesso e sotto le finestre della Polizia. Chi ha gambali di gomma se li infila: dicono che ci sarà molto fango. Io ho solo degli scarponcini. Con alcune auto della polizia raggiungiamo l'imboccatura del famoso tunnel, percorrendo ancora un tratto scoperto, bersaglio dei cecchini. I soldati bosniaci di guardia al tunnel sono nervosi e molti hanno la voce alterata a furia di gridare. Una parte del nostro gruppo riesce a entrare nel tunnel, ma ad un tratto un soldato vede una macchina fotografica e cominciano i guai: ci bloccano, ci perquisiscono ovunque, ritirano macchine fotografiche, la telecamera di Ambrogio, persino il mio piccolo registratore. Dicono che ci restituiranno tutto al di là del tunnel. Arrivano altri soldati, pure concitati: sta arrivando il Generale. Ci mettono in uno spazio attiguo, una specie di stalla, immersi nel fango con tante borse sulle spalle: le poche cose che tentiamo di portare dentro. Passa un'ora, ne passano due. Arriva il Generale ... Poi lasciano passare soldati e civili che escono da Sarajevo. Finalmente, dopo circa tre ore ci fanno incanalare nel tunnel e viene un soldato che porta le nostre "camere". Il tunnel è basso, a tratti solo mt. 1,35, a volte si alza fino a mt. 1,65 circa. E' largo poco più di un metro. E' tenuto su da travi di legno, che però ben presto diventano putrelle d'acciaio: pestarvi la testa contro non è simpatico, ma prima o poi è inevitabile. Qualcuno all'uscita sanguinerà vistosamente. lo sono alto 1,82 e non più tanto agile; però ho portato un cappello di feltro che mi ripara un po' la testa. Un altro lo do ad Ovidio, che è più alto di me. Il tunnel è lungo circa 860 metri, che si percorrono quasi tutti immersi nel fango e nell'acqua. Ogni tanto c'è una piccola lampadina che dà una illuminazione sufficiente. Al centro c'è un piccolo binario perché, quando anche l'aeroporto è chiuso, come in questo periodo, di qui deve passare anche l'approvvigionamento per i 350.000 che sopravvivono nella città, spingendo a mano dei carrelli. Questo è insomma come il cordone ombelicale che permette a Sarajevo di respirare ancora. Terribile! Allucinante! Se qualcuno non ce la fa più e si ferma, blocca tutti e se c'è dietro qualcuno nervoso si comincia a imprecare e a volte anche - ci dicono - a sparare. Non mi meraviglio: il degrado umano visto in questo ambiente è preoccupante. Noi siamo andati abbastanza speditamente e dopo circa 20 minuti sbuchiamo di là. Finalmente! Sembrava che non finisse più! Manca poco alla mezzanotte. Troviamo Giancarlo che cominciava a preoccuparsi. Ci sono dei ragazzi che si offrono di accompagnarci in centro con le loro auto. La tariffa è superiore al normale: si mette in conto anche il rischio, perché bisogna passare lungo il famigerato "viale dei cecchini". Una corsa di una dozzina di chilometri, una salita, ed eccoci al n. 11 di via Čapajeva. Ad aprirci - meraviglia! - le uniche due persone che conosco a Sarajevo: Marija e Samuela Bešker, due sorelle, suore francescane. Le ho conosciute qualche mese fa, nei miei viaggi in Bosnia centrale e sapevo che dovevano venire qui per aiutare come infermiere in Ospedale. Suor Samuela era missionaria in Zaire e parla francese. Ci hanno preparato una minestra e una frittata con le uova; forse era tutto quello che avevano. Ma noi abbiamo portato salame e formaggio: ci adattiamo su qualche letto oppure in terra dentro qualche sacco a pelo o avvolti in una coperta. E nonostante i continui colpi di mortaio e gli spari, la stanchezza prende il sopravvento.

Domenica 11 dicembre
- Non c'è l'acqua; forse arriverà più tardi per qualche ora. C'è qualche volta un po' di luce grazie ad una batteria, ma non si possono certo scaldare i locali! E intanto continuiamo a sentire colpi di bombe e di spari. Così cominciamo a capire dove siamo. Già: bisogna proprio viverci per rendersi conto cosa è Sarajevo: una città assediata, in balia dei serbi che la circondano e ne fanno quello che vogliono. Una città ostaggio. Contava più di 600.000 abitanti; ora ne sono rimasti poco più della metà. In dieci minuti raggiungiamo a piedi la Cattedrale. Alle 10,30 è fissata la celebrazione che ricorda i 750 anni di fondazione della Cattedrale di S. Pietro, ma soprattutto vuol riunire tutti i fedeli intorno all'Arcivescovo, che è appena tornato dal Concistoro di Roma con la berretta cardinalizia. L'Arcivescovo che c'era durante la seconda guerra mondiale, preso dalla paura scappò per salvarsi; e quando chiese udienza a Pio XII non venne ricevuto. L'attuale Pastore invece, nonostante i milioni di bombe, non ha abbandonato il suo gregge e il Papa l'ha premiato. Alle 10,20 arriva il Cardinale accolto festosamente da una schiera di bambini sui gradini del sagrato. Lo saluto e scambio due parole con lui proprio sul portale. Bella, solenne e partecipata la lunga celebrazione, con un duomo gremito e una buona corale con organo. Moltissimi i sacerdoti e preti concelebranti, tra cui i nostri P. Leonard e P. Ivan. Anche quattro Vescovi: il Vescovo ausiliare di Sarajevo Mons. Pero Sudar che ha salutato il Cardinale all'inizio, il Vescovo di Šibenik che ha tenuto l'omelia, il Vescovo di Dubrovnik e l'ausiliare di Split che hanno parlato verso la fine. Molto applaudito l'intervento finale del Cardinale. Sette di noi partecipano poi al pranzo ufficiale in Seminario, con tanti discorsi e indirizzi di saluto, il resto del gruppo fa un giro nella parte vecchia della città e vicino alla distrutta biblioteca sentono fischiare sopra le teste una granata che si abbatte 100 metri più in là provocando tre feriti e forse anche un morto. Questa entra negli onori della cronaca perché caduta vicina, ma il martellamento di granate e il secco crepitio dei cecchini sono continui, si susseguono a pochissimi secondi; e dopo un po' ci si abitua. Anche noi poi facciamo un giro... quasi turistico: la piazza del mercato dove il 5.2.94 una granata provocò 68 morti e quasi 200 feriti. Pregando fotografiamo quella piccola buca tra i banchetti del povero mercato: è quasi incredibile che una sola bomba abbia provocato una simile strage! Molte le moschee lungo le vie Vase Miskina e Sarači (tra cui la bellissima Moschea Begova del 1531, ancora intatta) e nella caratteristica piazza Baščaršija. Tornando invece dalla via Marsala Tita vediamo diverse case distrutte, la piccola ma antica Cattedrale serbo-ortodossa e la più importante Sinagoga con l'attiguo museo ebraico. Poco dopo attraversiamo tutti insieme un ponte sulla Miljacka per andare al grande convento e alla chiesa di S. Antonio. Bello l'incontro di P. Leonard col suo grande amico, coetaneo e compagno di studi e di laurea Padre Vitomir Slugić, professore di teologia fondamentale. Molto commosso nel vederci qui, nel suo stentato italiano dice parole profonde e penetranti. Solo qualche flash: "qui si vive il credo, quando dice "discese agli inferi". Anche voi ora provate questo. E noi aspettavamo che anche il Papa scendesse in questo inferno per aiutarci ad uscire". Ci parla dei buoni rapporti ancora esistenti con musulmani e serbo-ortodossi. Prima della guerra a Sarajevo i cattolici erano poco più del 10%, gli ortodossi oltre il 30% e quasi il 60% musulmani. Ora sono rimasti solo 15.000 cattolici e 60.000 sono gli ortodossi i cui sacerdoti (pope) sono tutti scappati, tranne uno. P. Vitomir si dichiara pronto a morire per la Chiesa e anche per la sua Patria, la Bosnia, questo insieme di popoli e religioni diverse che hanno vissuto e possono ancora vivere insieme, integrandosi e aiutandosi. "Oggi non ho potuto mangiare - ci ha confidato - perché ho pensato a quanti a Sarajevo non hanno nulla da mangiare". E lasciandoci ci ha detto: "Grazie! Tante grazie! Io non vi chiedo niente, ma vi aspetto".
Lunedì 12 dicembre
- Alle 7 ,30 celebriamo la S. Messa nella cappellina delle suore, dove ieri sera abbiamo pregato a lungo e intensamente. Attraversando poi a tutta velocità con le auto il viale dei cecchini, vedo e tento di fotografare il famoso albergo Holiday Inn e i vari grattacieli sventrati dalle bombe e anneriti dagli incendi che siamo soliti vedere in TV. Qui la CNN ha piazzato delle telecamere fisse per far vedere in diretta i bersagli dei cecchini. Che gusti! Così tutti hanno potuto vedere qualche giorno fa l'effetto devastante di una pallottola scoppiata nella testa di un bambino e l'altro giorno l'uccisione del conduttore. di un tram pubblico; a causa di ciò non funzionano i tram in questi giorni. Andiamo a visitare un grande forno, l'unico che dà il pane alla città dopo la distruzione di altri due. Devono farlo lavorare in continuazione, giorno e notte, e chiedono aiuti per potenziare la produzione. Passiamo quindi al vicino magazzino principale della Caritas, dove con meraviglia vediamo un TIR francese, di Cluses. Chiediamo come hanno fatto ad entrare. Ci spiegano che francesi e inglesi, grazie ai buoni rapporti politici che hanno con i serbi, possono passare attraverso le linee serbe, però vengono taglieggiati del 33%. Questo lo sapevo, ma non sapevo che quel 33% se lo scelgono loro, le milizie serbe; così questo TIR è arrivato qui solo con le cose più scadenti: quasi solo vestiario! Il responsabile del deposito ci dice che avrebbero bisogno di tutto, specie il latte, e che gli 8 magazzini Caritas della città distribuiscono a tutti i cittadini bisognosi senza distinzioni etniche o religiose. Alle 11,30 andiamo in Radojke Lakić 7, dove c'è la curia arcivescovile per salutare il Cardinale. Incontro molto cordiale. Ci offre la bella immagine mariana della nomina cardinalizia e la medaglietta del Papa. Lasciamo un'offerta significativa e facciamo una foto ricordo. A pranzo siamo ospiti del Seminario (i seminaristi sono stati trasferiti nell'isola di Brač), dove Don Francesco ci espone la tragica situazione che qui si vive. E' stata avviata una scuola cattolica con oltre 600 studenti; è aperta a tutti e infatti circa una metà dei ragazzi sono musulmani e serbi, con insegnanti anche musulmani e serbi ed esame nelle diverse religioni. Ci ricorda il problema del freddo: molte scuole presto dovranno essere chiuse perché non c'è riscaldamento. E il problema della fame: nell'ultima distribuzione avvenuta in Seminario è stato dato 1 kg di farina, mezzo di pasta, un barattolo di pelati e 2 decilitri di olio; e ciò devono farlo bastare per 15 giorni! Ci passa l'appetito. P. Leonard ci informa che dobbiamo anticipare la partenza perché poi il tunnel rimarrebbe bloccato per molto tempo. Passiamo dalle brave suore a prendere le borse e a dire un affettuoso "arrivederci" e poi via, con le auto, di corsa ancora sul viale dei cecchini fino alla zona dell'aeroporto. Manca Zrinka, attardatasi forse a salutare i parenti; attendiamo un po' ma poi dobbiamo proprio andare. Quando poi arriverà, la bloccheranno perché non più unita al nostro gruppo, passato grazie ad un permesso speciale accordatoci come delegazione italiana ai festeggiamenti del Cardinale. Chissà quando riuscirà ad uscire da quell'inferno!? Viene invece con noi Adriano Sofri, conosciuto in Italia anche per i suoi ottimi documentari su Sarajevo trasmessi dalla RAI: da un mese tentava di uscire, ma senza riuscirci. Siamo all'imbocco del tunnel. Portano una barella con un morto; altre con sopra dei feriti ... c'è di tutto! Passiamo velocemente. Qualcuno ha pestato la testa. Ambrogio sanguina vistosamente e viene medicato. Con noi è uscito un sacerdote, Don Pero, che ci indica dove scaricare i 5 furgoni, a Hrasnica. Appena potranno, cercheranno di portare questa merce in città. Così è arrivato il buio e possiamo partire e affrontare a fari spenti i primi pericolosi chilometri che salgono sul monte lgman. Dopo quasi 5 ore, verso le 22, arriviamo a Medjugorje: a Sarajevo è l'ora del coprifuoco. Il pensiero e il cuore sono rimasti là.

Martedì 13 dicembre
- Ritorniamo in Italia con le consuete soste a Spalato per la S. Messa alle 8,30 dell'Arcivescovo Frane Franić. Durante il viaggio, collegati con i C.B., Adriano Sofri ci racconta tanti episodi vissuti nelle numerose e prolungate sue permanenze a Sarajevo. Ne cito brevemente alcuni. Ci sono agenzie che organizzano la fuga da Sarajevo con pubblicità in TV: ore 16 partenze con pullman da Piazza Mercato – Tunnel - attesa a Hrasnica fino alle 3,30 della notte - a piedi sul monte Igman con bagagli a mano per circa 1 ora. Qui poi trovano un pullman per Spalato. Spesa: 80 marchi tedeschi. Secondo lui i serbi prima o poi distruggeranno totalmente questa città. Conosce un professore che ogni giorno per non morire di freddo deve bruciare i suoi libri ed ora sta bruciando i libri a cui teneva di più. Pochi giorni fa una bambina colpita dentro casa da un cecchino, è spirata durante il ricovero ... in diretta TV! Ha conosciuto una persona rimasta sola: 17 familiari uccisi. Ha avuto un ottimo colloquio col Vescovo ausiliare Mons. Pero Sudar: molto aperto, cordiale e parla italiano. Secondo lui noi siamo protetti dall'alto perché non ci è successo niente neanche sul primo tratto dell'Igman sopra Hrasnica, pericolosissimo, che quasi nessuno fa, perché i serbi hanno sempre puntato contro una mitraglia di ben 22 mm, che spesso spara. Motivo di più per ringraziare il Signore e anche la Regina della Pace, invocando il loro aiuto e la pace su quella martoriata città e su tutta la Bosnia.